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La pelle ha bisogno di essere toccata, sfiorata, tenuta.

La pelle è il vestito che ricopre il nostro cuore e la nostra anima.
Come abbiamo bisogno di essere visti, abbiamo anche bisogno di essere toccati.

Quando si è bambini il tocco è parte integrante del modo di comunicare e ricevere presenza, sostegno, amore.
Da adolescenti, si cerca il contatto con i pari.
Poi la coppia appaga il proprio bisogno di affetto con la presenza dell’altra persona “pelle a pelle”.
Quando si diventa anziani, se non si hanno nipoti che saltano sulle gambe e abbracciano, si soffre la grande carenza del contatto.

Per fortuna non ho mai temuto di abbracciare.
Il mio modo di essere, mi porta ad avvolgere e abbracciare le persone.

Ora che mio padre è anziano, appena posso lo abbraccio e lo stringo forte, per trasmettergli quel senso di forza, preziosità e affetto che ho nel cuore e che voglio trasmettergli.
Perché con un abbraccio comunico ciò che con le parole non possono dire, con un abbraccio dico che ci tengo, anche se abbiamo appena litigato.

Dentro quell’ abbraccio c’è tutta la mia gratitudine, affetto, presenza e pazienza di figlia.
Con un abbraccio dico che ci sono, che lui esiste come persona, anche se acciaccato, rallentato, a volte arrabbiato.. perchè lui è mio padre.

Abbraccia quando puoi, dove puoi, in modo delicato e rispettoso o forte e avvolgente, abbraccia per comunicare ciò che le parole non possono dire.

 

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In un corso sulla maternità, è stato trattato il ruolo del padre e della sua funzione fondamentale nella costruzione della fiducia nel figlio.

Più il padre racconta e fa giochi avventurosi, più il figlio sviluppa la capacità di affrontare le insidie della vita e gestire le emozioni di paura, rabbia, sconforto ecc,
ed inoltre lo aiuta a costruire il senso di fiducia e di potercela fare nel mondo.
Mio padre c’è riuscito, ma a suo modo.
Protagonista di uno dei momenti “spaventosi”, è stata la nostra Simca Citroen e il trattore dei nonni.
La Simca era in difficoltà nell’accendersi, come spesso accadeva.

Di solito la spingevamo da dietro, tutta la famiglia, mentre mio padre a lato del guidatore, teneva il volante e cercava di inserire la prima per farla partire.

Quel giorno decise che il trattore l’avrebbe spinta.
Mi posizionò sul trattore e mise la marcia, tenendo la frizione con la mano.
Mi disse, ora mollo, tu appena sei vicina alla macchina, frena.
Solo che io avevo si e no 6 anni, arrivano a mala pena al volante e i pedali erano troppo duri per me.
Arrivata vicino alla macchina, non frenando il trattore, le ho assestato un bel colpo!

Mio padre visto il fatto, ha lasciato il volante ed è corso a frenare al posto mio.

In quel momento ero spaventata, avevo capito che non ero riuscita a svolgere il compito che mi aveva chiesto.
Ma a distanza di anni, quel senso di fiducia ha seminato in me il senso di potercela fare.
Avere un padre così sfegatatamente fiducioso non è da tutti, nel bene e nel male di tutto ciò che questo atteggiamento comporta, ma è stata per me una grande lezione di vita.
Ora che ha 88 anni, e progetta ancora mille cose, dove ci vorrebbero altri 10 – 20 anni per terminarle, mi insegna che la vita finisce quando decidiamo di non sognare più,
quando pensiamo in piccolo.
Mi ha insegnato a pensare in grande.
In mezzo alle ombre e luci di un rapporto, le sue luci sono super brillanti.
E anche se mi fa dannare con i suoi progetti impossibili, voglio dirgli che ammiro la sua forza emotiva, la sua tenacia e il suo buon cuore.
È il padre giusto per me.

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